Anno 2035, la ricerca è ferma e con lei anche il buonsenso: i soggetti deboli vengono rinchiusi in strutture apposite.
Ada ha 40 anni, l’Alzheimer giovanile e tanta voglia di vivere.
Con lei condividono lo spazio Pietro, il marito sognatore che se ne prende cura e Max, un chimico farmaceutico obnubilato dalle droghe e dalla passione per le storie raccontate da Ada.
Tutti insieme vivono tra le pareti bianche della camera di Ada cercando di tenere fuori le ritorsioni del partito ultraconservatore, fino a quando questo delicato equilibrio si rompe.
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Ada ha tanta voglia di vivere, talmente tanta che riesce a vivere anche 10 vite in una sola giornata.
Perlustra lo spazio per scoprire nuove forme di vita intelligente, si fidanza con politici dalla dubbia moralità, ma è nella vasca da bagno che avvengono le migliori battaglie a suon di spazzolone e padella contro i rapitori Troiani.
Ada ha 40 anni e l’Alzheimer giovanile. Pietro è l’infermiere che la rincorre, la sgrida, la sfama, subisce le sue angherie e se ne prende cura, insieme a Max, chimico farmaceutico dedito alla marijuana e alle droghe psichedeliche.
Tra le pareti bianche della camera di Ada vivono la loro vita, cercando di tenere fuori le urla spaventose degli altri pazienti e le terribili punizioni del Direttore Severissimo.
A rompere questo delicato meccanismo, una soffiata della vicina all’Ispettorato Centrale per la Conformità, branca autonoma del partito ultraconservatore al potere.
Note di regia
Questa è una storia quasi vera.
A., nella realtà, è una donna ormai anziana abbandonata dalla famiglia in una casa di cura.
Abbiamo avuto modo di conoscerla attraverso colui che se ne prende cura e abbiamo scritto per lei un amore diverso.
Ad A. è una dedica e, al tempo stesso, il titolo dello spettacolo che protegge l’identità della vera protagonista e le affida un nuovo nome affinché la sua storia possa essere raccontata: Ada.
Con questo lavoro siamo andati ad indagare le problematiche che situazioni di questo genere portano con sé.
Con un approccio socratico, votato all’ascolto e alla verità, la messa in scena andrà a sviscerare temi come l’abbandono, la rabbia, la malattia, l’isolamento, l’eutanasia, in uno Stato che emargina e non aiuta i più deboli, tutelando sì, il diritto alla vita, ma dimenticando il diritto alla morte.
Ci siamo chiesti quali fossero le difficoltà dei malati, ma anche e soprattutto quelle di chi cura, della famiglia, di chi vuole dimenticare, di chi resta e vede la situazione per quello che è: un gran casino.
Sappiamo che il pericolo di scadere in un dramma che si piange e commisera da solo può essere dietro l’angolo, ed è per questo che intendiamo affrontare a muso duro la realtà che abbiamo potuto conoscere prendendola a schiaffi a nostra volta con ironia, leggerezza e qualche punta di cinismo.
Ci sono tante A. nel mondo che non sono tutelate, ci sono altrettanti Pietro che si trovano abbandonati dalle istituzioni. Diamogli voce e ascolto.
Tra le pareti della casa di cura, lettini sgangherati e vasche da bagno senza copertura, si sviluppa questo goffo e disperato trittico in cui tutto quello che lo spettatore vede e sente è, sostanzialmente una menzogna.
Attraverso dialoghi sporchi, corpi sgraziati, rapide virate tra verità e fantasia, la storia di Ada, Pietro e Max si costruisce a ridosso di conversazioni dal ritmo serrato e momenti di intensa riflessione, risate dal gusto amaro, temi sociali e poesia.



