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16 - 19 Aprile 2026

MASSIMO DI MICHELE

RIOT ACT

di Alexis Gregory

traduzione Enrico Luttmann
costumi Marco Dell'Oglio | scrittura gestuale Tiziano Di Muzio
consulente musicale Fabio Marchi | assistente alla regia Giuseppe Claudio Insalaco

diretto da MASSIMO DI MICHELE

produzione Artisti Associati-Centro di produzione Teatrale Gorizia

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Tre personaggi, tre storie diverse per ripercorrere la faticosa lotta per i diritti della comunità non-eterosessuale dal 1969 ad oggi.

Tre atti privati che diventano politici nel momento stesso in cui vengono raccontati, in una condivisione profonda attraverso la quale i protagonisti accendono una luce sui ricordi remoti e attuali della notte di Stonewall; sullo sfarzo dissacrante di una drag queen dagli anni ’70 che esorcizza il lutto, il dolore, la paura e la vita tutta con uno strato di trucco esagerato; sullo slancio potente dell’attivismo della lotta all’AIDS, la voglia di vita, di riscatto, di rivalsa contro stigma sociale e discriminazione.

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Riot Act di Alexis Gregory è una combinazione di tre monologhi che abbracciano ben sei decenni e due continenti. Tre voci per ripercorrere la faticosa lotta per i diritti della comunità non-eterosessuale dal 1969 ad oggi, partendo dalla memoria di ciò che
accadde nella famosa notte allo Stonwall, fino all’attivismo legato all’AIDS.

Non è un caso o un espediente drammaturgico quello dell’autore di moltiplicare per tre l’io narrante del testo. Troppa vita, troppe implicazioni, troppe angolazioni e prospettive colorano la storia dei movimenti di liberazione del genere e della sessualità che sarebbe impossibile condensare tutto in un unico racconto.

Tre voci, ma forse anche cento, o mille, per restituire la infinite implicazioni in cui questo pezzo della nostra cultura si dirama. Tre voci per sottolineare la potenza con cui la stessa vicenda di una notte in un sobborgo di New York ha investito come un’onda d’urto che si propaga nel tempo e nello spazio, le vite di milioni di persone, inconsapevolmente partecipi di un progresso sociale sovversivo e pervasivo, che avrebbe slacciato per sempre i legacci del patriarcato, delle morale eteronormata.

Eppure, questo non è un racconto corale. Le storie dei tre protagonisti scivolano parallele, senza intersecarsi. Particelle di un unico fiume che pur senza incontrarsi, senza nemmeno sospettare l’una dell’altra, scorrono insieme come parte di un’unica forza. La regia si focalizza su questa costruzione “liquida”, astrae gli spazi, asseconda l’avvicendarsi dei racconti che galleggiano sospesi in un non-luogo, in cui la parola diventa l’unica realtà fisica consistente, un fluido che riempie la scena e che si muove ai ritmi diversi della narrazione.

Tre voci, tre racconti, a metà strada tra interviste e flussi di coscienza, su cui Gregory accende una luce discreta e mai invasiva, ad illuminare i ricordi remoti e attuali della notte di Stonewall, tra la concitazione della lotta e l’entusiasmo per una causa comune che annienta distanze e differenze. A far brillare lo sfarzo dissacrante e corrosivo di Lavinia, drag queen dagli anni ’70, che esorcizza il lutto, il dolore, la paura e la vita tutta con uno strato di trucco esagerato, sotto i riflettori del palcoscenico. A proiettare lo slancio potente dell’attivismo della lotta all’AIDS, la voglia di vita, di riscatto, di rivalsa contro stigma sociale e discriminazione.

Tre atti privati, che diventano politici nel momento stesso in cui vengono raccontati, tre vite che ci dicono chi siamo, da dove veniamo, che ristabiliscono valori e prospettive della società che viviamo. Che parlano ad un pubblico trasversale, come un messaggio universale di giustizia e di democrazia, di diritti umani e di inalienabilità della libertà di ognuno.


Massimo Di Michele