Spazio Diamante

MARSHMALLOWS

Progetto Superficie

MARSHMALLOWS

Scendono giù che è una meraviglia

scritto e diretto da Angela Ciaburri
interpretato da Simone Cammarata | Luca Filippi | Bianca Mastromonaco | Adele Piras
supervisione artistica Matteo Santilli

 

Marshmallows è una drammaturgia per quattro personaggi.  L’idea di base è quella di indagare quattro declinazioni differenti di un’unica grande categoria: la generazione Y, “i millennials”. Una generazione spesso ritenuta poco interessante, perché reputata di transizione e di passaggio. Penso a questo enorme gruppo di persone, come fosse una bellissima donna, molto curata, ben vestita e solare, che dice cose intelligenti, ma che, nel frattempo, sta decidendo come togliersi la vita. Una di cui non sospetteresti mai che possa fare un gesto simile, ma che, osservandola dal “di dentro”, ha una “guerra in corpo”. Una generazione massacrata dai cambiamenti e che tutt’ora ne vive il dramma; quella per cui le relazioni sociali hanno cominciato a caratterizzarsi di comportamenti improntati sull’effimero e l’evanescente.  Quattro coinquilini ben oltre la trentina, una scrittrice, una cantante, un addetto al controllo qualità di un’azienda di Marshmallows e uno studente del conservatorio; vivono tutti a casa di Desi, la cantante. Desi è di buona famiglia, i suoi le hanno comprato una casa a Roma, prima ancora di sapere cosa avrebbe fatto nella vita, viziatissima e strafottente. Adele, la scrittrice, e Frenk, stanno insieme da due anni, vivono del proprio lavoro e pagano l’affitto a Desi per una piccola stanza condivisa. Se non fosse per quelle quote di affitto, Desi non saprebbe come sostentarsi, conduce una vita dissoluta, prevalentemente di notte, la prima canna appena sveglia e cosi via tutto il giorno, in attesa che qualcosa cada dal cielo, una svolta artistica che le cambi la vita. Adele che, invece, sulla carta, potrebbe sentirsi a posto con se stessa, dopo aver scoperto di avere una irrilevante patologia neurologica, è diventata maledettamente ipocondriaca e totalmente concentrata su di sé. Frenk sta fuori tutto il giorno, ma quando c’è, cerca di fare da specchio alle due ragazze, che vede totalmente bloccate nelle loro vite. Loro rifiutano drasticamente le sue modalità di confronto e si chiedono quando deciderà di fare, lui stesso, una riflessione sulla propria vita, che ha delle grandi zone d’ombra. Jack è l’outsider, comparirà solo a metà del secondo atto e porterà una grande novità, qualcosa che sconvolgerà le coscienze di tutti.

E’ possibile acquistare i biglietti
ONLINE SU TICKETONE
PRESSO IL BOTTEGHINO DI SPAZIO DIAMANTE (apertura un’ora prima dello spettacolo)
PRESSO IL BOTTEGHINO DELLA SALA UMBERTO per gli orari di apertura al pubblico consulta il sito
PRESSO IL BOTTEGHINO Di TEATRO BRANCACCIO per gli orari di apertura al pubblico consulta il sito 

IO AMO ITALIA

IO AMO ITALIA

testo e interpretazione Sofija Zobina  
consulenza artistica Giuseppe Scoditti | Ludovico D’Agostino
regia Gabriele Gerets Albanese

 

IO AMO ITALIA è un monologo di prosa-comedy, tratto da eventi autobiografici dell’autrice e interprete, e da fatti storici: primo tra tutti, l’avvento della musica italiana in Unione Sovietica.
Tutto nasce da uno scambio di oggetti avvenuto al confine tra Russia e Finlandia a inizio anni 60’, una stecca di sigarette per un vinile: O’ sole mio di Robertino Loretti. Questa è la storia che inizia a raccontare Sofia, un’aspirante attrice, sul palco di un karaoke. Ha già cantato una canzone, dovrebbe andarsene, ma l’occasione di avere finalmente un pubblico la spinge a restare. Con la scusa di raccontare il ruolo della musica italiana nella sua vita, parla della sua condizione di immigrata russa di seconda generazione e di quella di sua madre: una ballerina, che tramite mille peripezie, cerca di darle un futuro migliore proprio in Italia, dopo che il crollo dell’Unione Sovietica aveva lasciato tutti senza niente. Lo spettacolo è fatto di racconti, sketch, imitazioni, e di momenti più intimi legati al rapporto della protagonista con il padre, inteso come patria, come certezza, ma anche come limite. Nella storia delle due donne è una figura completamente assente, ma diventerà sempre più presente per la protagonista, durante il suo costante dialogo con il pubblico.

IO FILUME’

Teatro DI BO’

IO FILUME’

di e con Franco Di Corcia jr 
musica dal vivo Mattia Pagni
assistenza alla messa in scena Michelangelo Ricci | Mattia Pagni
consulenza scenica Salinas Mauricio
fotografia di scena Gianni Mattonai

 

E’ un racconto personale che fa rivivere la Filumena Marturano di Eduardo De Filippo in veste contemporanea come se fosse un’altra Filume’. E’ la storia di Franco intrecciandosi con quella di Filumena Marturano che torna nella contemporaneità a insegnare la potente arma dell’inclusione. Il monologo di Franco e le battute drammatiche di Eduardo De Filippo sono pezzi di un puzzle perfetto in cui le vite dei protagonisti delle due storie si incastrano senza fatica: entrambi usati e sottovalutati da chi li circonda, messi da parte, emarginati, soli. E soprattutto non amati. Ma loro amano, sono innamorati della passione, della vita, si illudono di fronte alle sue piccole gioie, nonostante dietro l’angolo si nascondano ogni volta delusioni e fallimenti. Entrambi vorrebbero ottenere amore e rispetto, come tutti, ma, per molto tempo, tutto cio che ottengono sono solo disprezzo e biasimo. L’indifferenza di chi si gira dall’altra parte e una costante nella loro vita, un male subdolo e lento che distilla perpetuo dolore. La loro forza sta proprio nel continuare a lottare per amore, Filume’ per Don Domenico e i suoi figli e Franco per il suo lavoro, il suo teatro, la sua arte. Franco e Filume’ rincorrono l’amore a caro prezzo, l’uno con la sindrome della valigia che lo accompagna sin dalla nascita, l’altra con la voglia di rimettere in piedi la sua vita di donna e di madre, per permettersi di piangere e commuoversi, emozionarsi, almeno una volta.

VOLEVO ESSERE GERI HALLIWELL

VOLEVO ESSERE GERI HALLIWELL

di e con Giulia Trippetta
costumi Nika Campisi
luci Simone Gentili
musiche originali Andrea Cauduro
tecnico luci e suono Simone Gentili

 

Un’attrice in scena, una scena delimitata da un tappeto nero quadrato, nessun oggetto, nessuna scenografia, uno spazio nudo, scarno essenziale;  una domanda che risuona dall’inizio alla fine dello spettacolo: Quale è il mio posto nel mondo? Una domanda apparentemente semplice che muove la protagonista ad affrontare un viaggio alla ricerca di un posto che riesca a darle quel senso di serenità che ha ormai abbandonato da anni. Scappata dal piccolo paesino di provincia da cui proviene, e al quale non si sente più di appartenere, la giovane donna porterà per mano lo spettatore in questo viaggio di formazione al limite dell’assurdo.   Come in un moderno “Alice nel paese delle meraviglie” la protagonista incontrerà personaggi reali e a volte buffe caricature che la metteranno di fronte alle sue più profonde paure e insicurezze, ma che le faranno scoprire anche i suoi desideri più reconditi. Come in ogni viaggio di formazione che si rispetti anche la protagonista di questa storia viene accompagnata da un mentore, la “Luigia”, che in questo caso altro non è che la proiezione del  “Fallimento”, ovvero quella sensazione che accompagna la protagonista da quando, a 10 anni, non riuscendo mai a interpretare Geri Halliwell nel suo gruppetto di amiche (nella metà degli anni ’90, tutte giocavamo a fare le SpiceGirls!) si è resa conto di essere una di quelle persone che non avrebbe mai fatto niente di buono nella vita. Un viaggio divertente  e oscuro, tra il sogno e la realtà, in cui il confine tra ciò che è vero e ciò che è frutto della sua testa si confonde a causa di un’ironia sottile e a volte impenetrabile.  Un viaggio che non le darà tutte le risposte che cerca ma che le farà capire l’importanza del saper attraversare con coraggio il dolore che la vita ci pone davanti, dolore da cui per anni aveva cercato di fuggire; e chissà che non si nasconda  proprio lì la risposta alla sua domanda.

PEST(E) A BUDA. BATTAGLIA PER LA GROENLANDIA

REBETIKO PRODUZIONI

PEST(E) A BUDA. BATTAGLIA PER LA GROENLANDIA

regia e interpretazione Paolo Toti
voce off Chiara Luce Fiorito

 

In bilico tra narrazione, interpretazione, danza e meta-teatro,Pest(e) a Buda, battaglia per la Groenlandia è un flusso di co-scienza passionale e significativo, un incubo di Amleto, dove peròa lla fine troviamo uno spiraglio di speranza. Descritto in un’am-bientazione punk – gotica; un adattamento dell’”Amleto” di Sha-kespeare e l’”Hamlet Maschine” di Muller, dove l’interpretazione dell’attore è sostenuta, sia da una corposa presenza testuale, sia daun considerevole utilizzo del movimento corporeo. In questa inquadratura il protagonista è Amleto, o meglio ancora, post-Amleto: un personaggio metafora che vuole liberarsi dalle sue prigioni, ponendosi in posizione critica ad un futuro-presentetroppo esasperato, che allontana sempre di più l’uomo dalla sua anima umana e quindi dalla verità. Lo spettacolo rappresenta una molteplice denuncia: Il consumismo, la violenza, l’alienazione, leguerre. In questa prigione corporale, Amleto è vittima della sua vendetta, “Io non voglio vendicarmi più”. Lo spettacolo sí descritto è ripartito in cinque quadri, quadri chescandiscono il tempo e modulano l’intensità emozionale da quadroa quadro e dal primo all’ultimo quadro. Amleto, in questa messin-scena oscura, “nel cuore delle tenebre”, è come una luce di speran-za in un mondo buio e tagliente. Questa luce è ancor più rafforzata alla presenza della voce di Ofelia, che pur’ella si adopera a cam-biare se stessa, aiuterà Amleto nel suo percorso.

   Paolo Toti

 

 

AAA CERCASI LUMINOSISSIMO SUPERATTIMO

Teatro BONI

AAA CERCASI LUMINOSISSIMO SUPERATTIMO

Emilio e Elisa Celata | Sandro Nardi
con Emilio Celata
regia Sandro Nardi

Prospettive per il prossimo futuro? Salire, andare in cima. Solo a certe altezze puoi far respirare i pensieri. E’ una questione di altitudini emozionali. Serve un attico per pensare, forse un superattico. E? l’attico delle scelte, quello in cui si prende e si perde coraggio. Chi pensa che sia meglio vivere un giorno da leoni, al tramonto che fa? Meglio consacrare una vita intera alla ricerca del fatidico , seducente, mirabile, sontuoso, brevissimo ma luminosissimo superattimo.

 

LE NOSTRE FOLLI CAPRIOLE NEL SOLE

LE NOSTRE FOLLI CAPRIOLE NEL SOLE

scritto da Iulia Bonagura
interpretato da Emanuele Baroni | Iulia Bonagura
voce off di Filippo Gili
diretto da Emanuele Baroni

 

Martina è sulla riva, è una bambina. Ha un costume intero da piscina e la maschera che lemantiene su i capelli bagnati. Siede sulla sabbia a gambe incrociate, ha uno stecchetto in mano e tocca la cupola di una medusa morta. Valentino, anche lui bambino, le si avvicina. Ha i pantaloncini a pinocchietto e uno zainetto. I due si incontrano, per la prima volta, a dieci anni, l’ultimo giorno d’estate, su una spiaggia del litorale laziale, e l’ultima volta a diciannove, sempre su quella spiaggia. Due bambini, che davanti a una medusa morta si interrogano su cosa c’è dopo, dandosi molte più risposte di quelle che noi adulti abbiamo il coraggio di azzardare. Anno dopo anno, si ritrovano in questa bolla che è Cincinnato, una frazione di Anzio fuori dal tempo. Martina vive lì anche durante l’anno, incastrata in una giostra di sogni e violenze che è la sua casa. Valentino viene dalla città e la raggiunge l’estate, accompagnato da una madre ansiosa che tenta di proteggerlo da tutto, impedendogli anche di crescere. Tutti gli anni li ritroviamo, l’ultimo giorno dell’estate, sulla spiaggia di Cincinnato: sempre più grandi, sempre più amici. Affrontano con quella leggerezza disarmante, che solo i bambini posseggono, le questioni che cerchiamo di valicare noi grandi. Ma cosa li accomuna? Cosa tiene insieme questi due piccoli adulti? Valentino non è mai entrato in acqua, schiacciato dalla paura, più della madre che sua, di annegare come è successo al padre. Martina vuole volare, scoprire le strade del cielo, così diverse dalle vie di Cincinnato. Cosa li unisce? Prima il coraggio, poi l’amore.

 

 

MINE

Compagnia Vulìe

MINE

Conferenza stanca sul melodramma amoroso

con Michele Brasilio | Marina Cioppa
dramaturgia Marina Cioppa | Michele Brasilio
luci Alessandro Benedetti
scenografia Vincenzo Leone
aiuto regia Stefania Remino
regia Michele Brasilio

C’è Gabriele Rossi, presentatore Televisivo. C’è la Dottoressa Benedetta Vizzicari. Ci sono dei video e ai quali resiste il  documentari da mostrare. Ci sono  esimi studi da confutare. C’è la pubblicità progresso da mandare in onda.Durante la trasmissione Mine, si dimostrerà come e perché il rapporto di coppia sia un melodramma inutile. Il Pathos à troppo anche nell’atto sessuale. Senza amore la coppia può esistere con individualità e unicità, soli valori fondamentali per l’essere umano. Forse l’amore fa male, riduce la qualità della vita e pure la lunghezza, a partire dalla qualità dei respiri che si sono concessi e del numero  dei battiti ai quali resiste il muscolo cardiaco. Oltre ai dati puramente scientifici, gli esperti si avvarranno di ipotesi sulla morale da confutare iln questa sede, infatti Mine mostra la psicosi nei rapporti attraverso la smulazione di brevi incontri dimostrativi , lo scopo è quello  di confutare che l’atteggiamento corretto à il divieto di essere realisti e di migliorare il proprio comportamento in ogni campo. La trasmissione televisiva ha come obiettivo abbandonare il bigottismo e concedersi all’apertura mentale, perché non c’è bisogno di fare tante storie per farsi una storia Durante la serata si interpreteranno i conflitti psichici che nascono  quando si è in coppia. Si mostrerà come la psiche della pesona “normale” non sia poi così distante qualitativamente da quella del paziente psicotico , d’altronde è questo quello che ci insegna Roland David Laing, padre dell’antipsichiatria quando dice che “ La vita è una malattia a trasmissione sessuale”. Fermarsi prima di dirsi “ti amo”, significa preservare la propria vita.

 

 

ISMAEL

ISMAEL

di e con Massimiliano Frateschi

 

ISMAEL è un monologo di teatro contemporaneo ispirato alla storia vera di Adnan, un ragazzo scappato dalla Siria e tutt’ora rifugiato in qualche parte d’Europa. Ismael è un ragazzo iperattivo, sempre sorridente nonostante il bagaglio emotivo del suo viaggio. Ha imparato la lingua italiana e le preghiere quando era bambino, insegnategli dalla madre, ormai scomparsa e che premeditava la fuga di suo figlio in un altro paese sin dalla nascita. Quando Ismael arriva all’ufficio d’immigrazione, dopo aver attraversato due deserti , sei nazioni e aver  perso le tracce del fratello maggiore, scomparso durante una loro permanenza in un carcere, si commuove e con sarcasmo e ironia ci racconta la sua storia.

 

 

HOUSE WE LEFT

Centro Teatrale MaMiMò APS

Teatro Piccolo Orologio

HOUSE WE LEFT

drammaturgia e regia Alessandro Sesti
con Cecilia Di Donato e con i musicisti Andrea Tocci, Debora Contini, Filippo Ciccioli
musiche originali Greasy Kingdom
regia Francesco Bianchi

 

Storie così grandi in un palco stanno strette. Suonano di assurdo e impossibile, di romanzato e di irreale. Ecco che allora l’unica possibilità che ho ritenuto valida era quello di affidarmi agli occhi di Cecilia, ai suoi racconti, al suo punto di vista. Lei, nelle sue incursioni laboratoriali nelle carceri, ha la possibilità di restituirci la sensazione dell’incontro con queste storie.
“House we left” è un il titolo di un brano dei Greasy Kingdom, band glam rock che accompagna Cecilia in questa narrazione. “House we left” è quel pezzo di noi che avevamo bisogno di lasciare per iniziare una nuova vita. È quella casa che non volevamo lasciare e che oggi ci manca, è quella pietra che sembra volerci ricordare che in questa vita l’errore lo paghiamo per sempre.
Dentro “House we left” ci sono tante storie, tanti interrogativi, tante assurdità quotidiane.
C’è quel pezzo di noi che non è bianco e non è nero. House we left è la sfumatura di grigio nei discorsi.
Alessandro Sesti