Matt Elliott, sublime maestro del folk mitteleuropeo contemporaneo, torna
ospite di Unplugged in Monti per presentare in anteprima “Farewell To All We Know”
il nuovo disco atteso per febbraio 2020
Informazioni su come acquistare i biglietti: www.unpluggedinmonti.com – info@unpluggedinmonti.com
Il bristoliano Matt Elliott, ex rappresentante della scena elettronica inglese con i Third Eye Foundation (progetto su cui è tornato a lavorare da alcuni anni) é oggi sublime maestro del folk mitteleuropeo contemporaneo. Nella sua carriera solista, iniziata con il suo trasferimento da Bristol in Francia, Elliott si è indirizzato verso atmosfere che, partendo da uno sghembo cantautorato post-rock, si sono fatte sempre più rarefatte, oscure e intimiste. Un percorso culminato nell’opera “Songs” (Ici d’ailleurs, 2009), box che raccoglie la trilogia “Drinking Songs”-”Failing Songs” e “Howling Songs”, oltre all’inedita raccolta di outtakes “Failed songs”,
tutti album all’insegna di uno spleen cupo, quasi rassegnato alla follia del mondo.
Una volta chiusa la trilogia, Elliott ritorna sul progetto Third Eye Foundation con un’opera, “The Dark” (Ici d’ailleurs, 2010), ancora una volta di stampo elettronico ma al servizio di una chiara e forte posizione etico-politica, una spietata critica della contemporaneità. A questa seguirà la ristampa del suo lavoro d’esordio “Semtex”.
Dal 2012 Elliott ha iniziato un nuovo capitolo della sua storia discografica, prima con “The Broken Man”, album mixato da Yann Tiersen, poi con “Only Myocardial Infarction Can Break Your Heart” (2013), e infine “The Calm Before” (2016). In questi nuovi lavori, all’amore sempre più aperto verso la chitarra classica e le sonorità flamenco, si accosta un sentimento di disillusione e beffarda giocosità: l’esperienza del dolore come forma di rivendicata maturità. La consapevolezza del tragico si sostiene grazie alla eleganza stilistica del musicista.
Se gli album della trilogia erano all’insegna di uno spleen depresso, quasi rassegnato alla follia del mondo, nei nuovi lavori l’epicità si alterna ad atmosfere psichedeliche, accompagnamenti jazz, arrangiamenti sofisticati; la stratificazione strumentale delle chitarre, della voce, dei cori, dei campanelli, delle trombe eteree, chiede di non fermarsi al primo ascolto, ma di andare in profondità, fino al punto in cui la tristezza e la frustrazione di un uomo nella sua lenta caduta si trasvalutino in un’ascesi alla bellezza.
Quattro anni dopo “The Calm Before” Matt Elliott è pronto a tornare con un nuovo album dal “Farewell to all we know” atteso per febbraio 2020.
“A beautiful noise between light and shade” è la conseguenza naturale di un’unione virtuosa tra Giardini di Mirò e il leader dei Sophia, ex God Machine, Robin Proper Sheppard. Un perfetto connubio rappresentato sia da “Hold On”, il terzo brano dell’ultimo album dei Giardini di Mirò “Different Times”, arricchito dalla presenza della voce di Robin Proper-Sheppard; ma anche dal successo della prima data del tour di Different Times lo scorso 18 gennaio in Santeria a Milano, dove il fondatore dei Sophia ha suonato in solo sul palco prima della band.
A fine novembre partiranno dal Teatro Toniolo di Mestre per un tour di cinque date insieme che toccherà il Circolo della Musica di Torino, il Covo Club di Bologna, e terminerà con le date di Napoli e Roma.
Robin Proper-Sheppard condividerà il palco con i Giardini di Mirò, esibendosi prima in acustico e poi suonando alcuni brani con la band di Reggio Emilia.
L’artwork che presenta “A beautiful noise between light and shade” è costruito su un’immagine realizzata da Giovanni Manfredini, artista che da sempre lavora sulle gamme cromatiche tra luce e ombra.
I Notwist sono una band incredibilmente multiforme e poliedrica e la loro linea del tempo discografica, in costante mutamento ed evoluzione, ne è la dimostrazione: dagli esordi con l’omonimo album post-hardcore nel 1991, alle derive via via sempre più post rock ed elettroniche di album come Shrink (da cui è tratta la bellissima “Chemicals”), fino a capolavori come Neon Golden e agli album successivi, anch’essi coerentemente originali, atipici e di difficile classificazione.
Ce n’è uno in particolare che, pur non godendo della notorietà che merita, esprime in modo più che eloquente il lato sperimentale e visionario della band tedesca. Parliamo di Messier Objects, un album di b-sides e brani inediti pubblicato nel 2015 su Alien Transistor che raccoglie una serie di lavori e composizioni strumentali derivanti dal fecondo dialogo con altre forme d’arte quali teatro, cinema, radio e televisione.
Il titolo dell’album è un omaggio al lavoro dell’astronomo francese “cacciatore di comete” Charles Messier e alla sua classificazione di 110 oggetti celesti. L’album si compone infatti di 17 “oggetti” apparentemente slegati tra loro, composti secondo intenti e ispirazioni non attribuibili a un concept unico ma scritti in tanti momenti diversi e per occasioni diverse, tenuti insieme dalla loro natura di “brani composti per la sonorizzazione di qualcosa”. Quindi non più fini a loro stessi ma con una funzione ben specifica, legata volta per volta a un soggetto diverso.
Ed è qui che emerge lo spirito più sperimentale e inaspettato dei Notwist, che hanno pensato di riarrangiare questi brani per riproporli dal vivo, in uno spettacolo audio/video unico e irripetibile, in cui la band esplora le infinite possibilità della sperimentazione e dell’improvvisazione incorporando elementi provenienti dalla Library music, dal Free Jazz e dalla musica elettronica sperimentale. Il concerto , che mira a essere un’esperienza musicale e al tempo stesso cinematica, è arricchito e strettamente legato a un’importante parte visiva, affidata alle proiezioni sperimentali dell’artista tedesco Anon Kaun e al light designer Bertil Marks. Sarà un’occasione unica per esplorare il lato più inedito, sperimentale e sorprendente dei Notwist.
I Notwist nascono nel 1989 a Weilhelm, nell’alta Bavaria, a opera dei fratelli Markus (chitarra e voce) e Michael Archer (basso), insieme al primo batterista Meki Messerschmidt. Con l’uscita del loro debut album omonimo nel 1990, i Notwist furono subito considerati una delle band hardcore tedesche più interessanti, prima ancora che le chitarre prendessero direzioni sempre più ordinate e le composizioni si arricchissero di sonorità molto più vicine al mondo del post rock e dell’elettronica. Nel 1992 esce Nook disco molto vicino al precedente lavoro, che risente di particolari influenze hardcore e metal. Una prima svolta arriva con la pubblicazione di 12, avvenuta nel 1995, che segna il passaggio al post rock e le prime divagazioni nei territori dell’elettronica. Nel 1997 Martin Gretschmann si unisce al gruppo e presto arriva la svolta, con la pubblicazione nel 1998 di Shrink, un album di rock sperimentale che fonde jazz ed elettronica. Brani come “Day 7” o “Chemicals” possono di buon grado essere considerati l’archetipo dell’indietronica. Nel 2002 arriva Neon Golden, enorme successo di pubblico e critica, tutt’oggi considerato il loro capolavoro e un album fondamentale nello sviluppo della musica degli ultimi decenni. Sei anni dopo esce The Devil, You + Me, altro enorme successo per la band tedesca, seguito nel 2014 da Close to the Glass, un attraente e imprevedibile connubio tra melodie emozionanti e pulsazione precisa delle macchine e dell’elettronica. Romantico e robotico allo stesso tempo, questo album è un collage che unisce pop songs, scienza, ricerca e capacità di raccontare storie. E poi fu la volta di Messier Objects, la raccolta di b-sides appartenenti al mondo della sonorizzazione e della sperimentazione sonora. Il loro ultimo album, Superheroes, Ghost-Villains + Stuff, è stato pubblicato nel 2016 uscendo negli Stati Uniti per l’etichetta Sub Pop. Il disco è stato registrato durante la seconda di tre serate live complessive fatte dai Notwist al UT Connewitz di Lipsia a metà dicembre del 2015, tutte rigorosamente sold-out.
ARTISTA CAPACE DI UN SONGWRITING ELEGANTE, INFLUENZATO DAI GRANDI DEL FOLK AMERICANO, IN CONCERTO PER UN’UNICA DATA ITALIANA PER PRESENTARE ‘GONERS’, IL QUINTO ALBUM DI STUDIO PUBBLICATO AD OTTOBRE 2018
Con un amore per la musica popolare tradizionale ed una particolare inclinazione alla sperimentazione, Laura Gibson, polistrumentista e cantautrice, è tra le migliori rappresentanti del songwriting al femminile. Con cinque album all’attivo e l’importante e prestigioso premio MFA per la scrittura di libri fiction ricevuto dall’Hunter College, Laura Gibson è pronta a tornare in concerto in Italia per un’unica data, il 13 novembre a Roma.
Dopo l’acclamato ‘Empire Builder’ – pubblicato da Barsuk Records/City Slang nel 2016 e definito da Pitchfork come il suo miglior disco – ad ottobre 2018 viene pubblicato con la stessa etichetta ‘Goners’, il quinto album di studio, un disco molto personale, sul dolore e sulla perdita, accompagnato da arrangiamenti minimali e spesso acustici, lasciando che sia l’intima ed evocativa voce di Laura Gibson a parlare.
Originaria dell’Oregon, inizia a suonare la chitarra sin da giovane. Il primo EP, “Amends”, risale al 2004 e quella ragazza timida ed allergica ai riflettori, dalla voce spigolosa ma dolce nello stesso tempo, viene annoverata tra le promesse della West Coast. Due anni dopo è la volta di “If You Come To Greet Me” (Hush Records), ballad genuine cariche di indie-folk. Nello stesso anno arriva l’EP “Six White Horses”, una rivisitazione di sei grandi classici folk-blues, realizzati in collaborazione con il polistrumentista Jason Leonard. Nel 2009 esce “The Bests Of Season”, un album che vede la partecipazione di ospiti quali Shelly Short dei Decemberist, i Menomena ed altri ancora. Nel 2012 Laura Gibson firma con Barsuk Records e pubblica “La Grande”, un disco dalle derive folk che denota una significativa maturazione artistica, un viaggio sonoro carico di collaborazioni tra cui quella con i Calexico, Decemberist, Dodos ed Adam Selzer, che ne ha prodotto i dieci brani che compongono l’album.
A fine estate del 2014 Laura Gibson lascia Portland per un corso di scrittura creativa a New York. Parte del viaggio è stato fatto con l’Empire Builder, il leggendario treno che collega la costa nord-est del Pacifico con Chicago. Ed è proprio il treno a dare il titolo al nuovo album pubblicato ad aprile 2016 da Barsuk Records.
“Empire Builder” segna il ritorno di Laura Gibson. Quarto album di studio, nonché uno tra i dischi folk dell’anno, è un concentrato di canzoni senza tempo che mostra la carica ed il talento di questa straordinaria quanto genuina cantautrice americana, merito anche di una band davvero notevole: le chitarre di Dave Depper dei Death Cab For Cutie, le pelli di Dan Hunt dei Neko Case, Peter Broderick e l’immancabile collaborazione coi Decemberist, artisti amici che prontamente sono corsi in aiuto della Gibson, che aveva perso tutte le registrazioni e le sue chitarre in seguito ad un’esplosione nell’edificio in cui risiedeva a New York.
L’ultimo lavoro di studio, ‘Goners’ arriva ad ottobre 2018.
Capace di armonie che spaziano dal country al folk fino ad arrivare alle più classiche ma mai banali derivazioni pop, Laura Marling è senza ombra di dubbio una voce ed un talento raro.
Due atti unici di Jean Genet SPLENDID
traduzione Franco Quadri
con
Andrea Nicolini
Simone Ciampi
Laurence Mazzoni
Sebastian Morosini Gimelli
Michele Maccaroni
Domenico Macrì
Gianluigi Fogacci
Giovanni Longhin
musiche originali eseguite in scena di Andrea Nicolini
regia e progetto visivo di Gianluigi Fogacci
STRETTA SORVEGLIANZA
traduzione Franco Quadri
con
Giovanni Longhin
Michele Maccaroni
Gianluigi Fogacci
Andrea Nocolini
Regia e progetto visivo Alessandro Averone
Questo progetto nasce da alcune conversazioni con il maestro Peter Stein durante le fasi preparatorie di Richard II in cui sono stato coinvolto come attore. Dopo aver visto i miei lavori su Pirandello(“O di uno o di nessuno”) e Shakespeare(Cymbeline) affrontati con compagnie di giovani attori, il maestro ha ritenuto che io fossi in grado di condurre un laboratorio con gli attori da lui selezionati per l’allestimento di Richard ma che non avevano ruoli di primaria responsabilità e soprattutto visibilità, così importante ormai nel così detto mercato del lavoro. La componente esclusivamente maschile del gruppo ha ovviamente ristretto la scelta del testo e la proposta di Genet è arrivata dal maestro Stein, autore a suo tempo alla Schaubuhne di una memorabile messa in scena de “I negri” , che inizialmente mi ha suggerito “Stretta sorveglianza”, dopo vari incontri si è arrivati dietro mio suggerimento a “Splendid’s”che ha tra l’altro il numero di personaggi esattamente corrispondente al numero di attori della compagni e ha, non solo per questo motivo incontrato il favore del maestro. Dopo alcune letture con la compagnia, anche di altri testi, si è aggiunta la collaborazione di Alesandro Averone che si è proposto di lavorare su “ Stretta sorveglianza” e che ho accolto con gioia data la grande stima professionale che a lui mi lega. Dividendoci il tempo per le prove si è moltiplicato lo sforzo per la compagnia ma si è ampliata la visione sulla poetica dell’autore che viene così declinata con due stili completamente diversi di messa in scena, pur mantenendo le corrispondenze e le continuità tematiche presenti nelle due opere. Man mano che il lavoro cresceva e prendeva forma ci siamo trovati d’accordo che presentare i due testi in un’unica serata sarebbe stato giusto per garantire un’offerta singolare e articolata.
La banda della Rafale, o banda della raffica, che al settimo piano del Grand Holtel Splendid ha sequestrato e ucciso la figlia di un miliardario americano, si è formata in carcere, e in carcere tornerà dopo che l’assedio della polizia la costringerà ad una rocambolesca resa , ed è proprio il carcere la scena dove si svolge la torbida storia di tre galeotti e un secondino in “Stretta sorveglianza” Per quanto riguarda “Splendid’s”ciò che più mi ha colpito è la maestria del gioco teatrale che Genet mette in atto: in un clima da Vaudeville i personaggi, che uno dopo l’altro riempiono la scena, sembrano che siano preoccupati di recitare un ruolo e di voler essere coerenti con la loro auto rappresentazione , ma via via che la vicenda si dipana e il cerchio della polizia/società si stringe intorno a loro, il senso di pericolo e di morte aumenta ed esaspera le relazioni, che legano i componenti della banda spingendoli a tradirsi e a rinfacciarsi vecchie ruggini. Gli inganni, i travestimenti, La morale rovesciata, il gioco al massacro, la lotta per la leadership, i continui capovolgimenti di fronte( tutto il repertorio scenico caro a Genet insomma), sono le linee portanti del testo, e percorrerle con spregiudicata vitalità insieme alla compagnia è stata ed è la sfida che mi sono proposto. L’incontro con quest’autore, di cui ringrazio il maestro Stein , è stato a dir poco sorprendente( ma dovrei dire a questo punto scioccante). Non ho mai letto niente di così sconvolgente, sconveniente, violento, irriverente e scandaloso come le sue opere, soprattutto i romanzi , e non è un caso infatti che Genet si sia avvicinato alla letteratura quando era in carcere leggendo Dostoevskij. E se dovessi condensare in solo aggettivo il carattere della sua opera non me ne verrebbe uno più appropriato che virile, ed è proprio questa virilità che pulsa nelle sue opere che ho cercato di restituire, chiedendo agli attori uno sforzo interpretativo estremamente impegnativo e complesso , facendo emergere i paradossi e gli ingredienti da commedia attraverso la verità dei personaggi e non indugiando sulle modalità convenzionali della commedia e del vaudeville.
Gianluigi Fogacci
In “Stretta Sorveglianza” Genet ci porta dentro le quattro mura di una cella.
Tre carcerati. Un secondino.
Nessuna uscita, nessuna scelta. Soltanto la possibilità di sopravvivere aggrappandosi a ciò che ci rende vivi, che ci restituisce un senso attraverso i propri ricordi, le fantasie, i demoni mai affrontati che prendono la forma di chi ci sta vicino. Brandelli di verità e di vita che hanno un valore solo all’interno delle mura del carcere.
Tre vite giocano pericolosamente sul filo sottile della follia: giochi di ruolo e di potere, la disperata vitalità della provocazione, la vicinanza eccitante e perturbante della morte.
Ci siamo addentrati in questo testo cercando di dare una vivida concretezza ai legami contraddittori che uniscono e incatenano i personaggi costretti in una cella.
Tre corpi. Tre universi che si confrontano, si scontrano, si mischiano di volta in volta nel tentativo di restare vivi.
Se dovessi descrivere al meglio le differenze tra UOMO e DONNA, direi che LA DONNA È UN GATTO e
L’UOMO È UN CANE.
Ad esempio il gatto, intanto, si lava. Parecchio. Se passa addosso cremine de saliva in continuazione, con più tenacia di uno stuccatore polacco. Il cane no. Il cane non si lava. Ogni tanto qualche bidet autogestito, ma quello non conta. Il cane si lava solo quando la comunità intorno glielo impone.
Apparteniamo a due specie diverse, c’è poco da fare.E da quando esistono i social la situazione si è complicata parecchio. Tra una Milf e un Alberto Angela il primo approccio che abbiamo è quello della foto profilo. Ormai non ci conosciamo più , ci ordiniamo online.
Chiacchiereremo di questo, di Principesse Disney e di Giapponese All You can eat, tentando di portare insieme fuori dal web la nostra vita, che è quella cosa che ci accade mentre siamo a testa basta sul telefono.
#Luccisanodicecose è uno show giovane e giovanile che mette sul palcoscenico tutti i suoi monologhi più apprezzati sui social (https://www.facebook.com/luccisanodicecose/ ). Ed Emiliano non sarà da solo perché è accompagnato da un musicista, Alessandro Lozzi, con il quale duetterà sulle note di famosissime canzoni riadattate per gli…esseri umani ai tempi del web!
Messo in scena ed interpretato da Carmen Panarello
Collaborazione al progetto Giampiero Cicciò.
La nostra Cleopatra è una donna di Rimini, proprietaria dell’Hotel del Lido che ha ereditato dal padre Tolomeo quando era ancora “un baretto”, rendendolo “grande e conosciuto”. Ai tavolini del caffè aveva già incontrato Munir, siriano e con lui intrecciato un legame d’amore. Munir, profondamente legato alla sua patria, non riuscirà purtroppo a non ritornarvi, sognandone un riscatto democratico. Ne segue una storia tormentata di attese e ripartite, tra “malelingue e risolini”, le amiche di sempre, ricordi e sogni, che è appunto il racconto del monologo, in cui “ la Cleo” si e ci interroga in un’ originale metrica condita di suoni romagnoli, appoggiandosi ai pochi elementi simbolici della scena che ritrova o forse porta con sé, sospesi nel tempo. Nel testo, in cui sono presenti alcuni echi dell’ “Antonio e Cleopatra” di William Shakespeare, la regina romagnola seguirà, anche se quasi velatamente, la fine tragica dell’imperatrice: ma qui lo spazio viene lasciato ad un paesaggio vincente che, circonda l’azione del monologo e, in parte, ci unisce tutti: il mare.
Gentile Pubblico, premesso che – è stato emanato il DPCM del 4 marzo 2020 art.1 comma 1 lett. B che dispone “Misure per il contrasto e il contenimento sull’intero territorio nazionale del diffondersi del virus COVID-19” – che all’art.1 di cui sopra, per continuare una moderata attività si prevede l’eccezione che consente “l’affollamento di persone condizionata al rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”; – che tale eccezione per le attività teatrali è ritenuta di fatto inapplicabile dai teatri romani Lo Spazio Diamante sospende le attività aggregative e le recite in cartellone dal 5 marzo al 3 aprile 2020. Verranno a breve comunicate le date di recupero degli spettacoli sospesi. Onde evitare l’intasamento del botteghino, che sarà contestualmente chiuso al pubblico, ma operativo telefonicamente e via mail a botteghino@spaziodiamante.it, vi invitiamo a seguire gli aggiornamenti sul nostro sito e canali social. Ci rivediamo presto a Teatro La Direzione
di Heiner Muller
con Cristina Golotta e Roberto Negri
Regia Alessandro Marmorini
Produzione Officina Dinamo Fucina Creativa e Compagnia Teatrale Tiberio Fiorilli S.C.R.L
“Si possono citare dei brutti versi quando sono di un grande autore.” – Laclos, Le Relazioni Pericolose –
Heiner Muller venne definito il “massimo esponente del teatro vivente” dopo Samuel Beckett ed è sicuramente il più importante drammaturgo tedesco del XX Secolo assieme a Bertold Brecht. Tuttavia il suo scrivere un teatro “enigmatico e frammentario” e il suo sfacciato ragionamento sulla modernità attraverso la riscrittura di classici, ha reso assai complessa l’accettazione del suo lavoro di autore, i suoi testi vennero spesso censurati o proibiti in una Germania spaccata a metà e con un profondo senso di imminente catastrofe nucleare. Quartett è uno dei testi più celebri e controversi della produzione di Muller, uno dei padri di quello che oggi viene chiamato “teatro postmoderno” o “post-drammatico”. La sua complessa struttura testuale, pregna di riferimenti filosofico-letterari, e il suo profondo scavo nella perversione umana e scenica rende spesso gli allestimenti di tale testo simili a letture o teatro declamatorio, cosa che contribuisce a spostare Muller spesso nell’ambito del letterario più che del performativo. La sfida di questo progetto è proprio quella di rendere all’opera di Muller l’azione drammatica e teatrale che il suo autore, per il semplice fatto che scriveva prosa drammatica e non saggi filosofici, auspicava. L’evento, l’azione drammatica non è che non sia presente in Muller, è nascosta, striscia sotto i fiumi di parole a coprire il vuoto, ma c’è. Ed è lì lasciata a pulsare sotto le bruttezze e le mostruosità del nostro essere bestie spesso prive di poesia e assieme capaci di vertiginosi slanci del pensiero. Per questo Quartett può essere visto come il selvaggio ring dove due amanti perduti e annoiati possono evocare le loro più perverse fantasie in un duello di fioretto dell’immaginazione, un cruento gioco di ruolo dove entrambe le individualità tentano di sopraffare l’altra, di rendersi necessarie. L’utilizzo della riscrittura dei classici per indagare il suo tempo viene riproposto da Muller anche in Quartett, dove i due protagonisti, ricostruiscono attraverso un sadico gioco delle parti la storia de Le Relazioni Pericolose di Laclos. La trama che ne emerge diviene, oltre che il racconto delle vicende parigine dei due amanti, l’emblematica storia dei due sessi: un Adamo ed un Eva della moderna concezione dei rapporti tra i generi, due figure archetipiche confinate nel vuoto, che occupano il tempo e lo spazio esorcizzando ritualmente la loro condizione. Ma nulla può giungere a vero compimento in un’atmosfera sospesa e paradossalmente onirica. L’unica certezza alla fine risulta l’ineluttabilità del destino, e forse la consapevolezza che tutta la razza umana potrebbe essere solo il cancro del mondo.
Ideato da Dino Lopardo Con Dino Lopardo e Mario Russo Musiche di Mario Russo Scene di Andrea Cecchini e Dino Lopardo Luci Giovanni Granatina Dimitri Tetta Supervisione artistica Matteo Cirillo
L’emigrato è un naufrago in terra natìa. Quello che ha conosciuto lo rende estraneo. Quello che sa, e che gli altri non sanno, lo rende più solo.
Nóstos; Algía; Nostalgía; dolore del ritorno. Terra sotto le scarpe, ai lati del cuore e sulla punta delle ciglia. Sguardo lontano, pensiero a una zolla che per anni si è vissuta solo con la mente. Itaca portabile, alma mater sconquassata.
Trapanaterra è un’Odissea meridionale, una riflessione sul significato di «radice» per chi parte e per chi resta, un’ironica e rabbiosa trattazione dello sfruttamento di una terra.
“Chi sei? Dove vai? Da dove vieni? Cosa vai cercando? Quando te ne andrai?” Sembra dire il fratello che è restato a quello che è tornato, organetto alla mano, alla terra dei padri. Il più piccolo in calosce si districa tra i tubi gorgoglianti della raffineria. Il più grande quello che è “scappato”, è un bohemienne che respira di nuovo l’aria di casa, una casa che forse non c’è più, che è cambiata. Un Paese di musica e musicanti dove non si canta e non si balla più, nemmeno ai matrimoni. Si può solo sentire il rumore delle trivelle, la puzza dei gas e il malaffare.
Storie d’infanzia, ricordi di famiglia, canti di piazza e bestemmie: è l’ultra-locale che diventa ultra- universale.
Tutto è impastato nel dialetto, osso delle storie che s’insinua come la musica. Inutile arrabbiarsi, o forse no. Qualcuno è partito perché altri potessero crescere, perché la terra madre non ha i mezzi per alimentare le speranze di tutti. Ma di chi è il coraggio, di chi resta? O di chi torna?
NOTE DI “REGIA”
“Se non dovessi tornare, sappiate che non sono mai partito. Il mio viaggiare è stato tutto un restare qua, dove non fui mai”.
Trapanaterra È una ricerca profonda sulla realtà del mezzogiorno intesa come un costante ossimoro; è un viaggio di rimpatrio, il resoconto di una famiglia del Sud distrutta da un destino ineluttabile. Lavoro, corruzione, potere, tradizione, familismo amorale, abbandono e identità culturale sono gli elementi che fanno continuamente staffetta nel testo.
Due i personaggi, fratelli che si incontrano e scontrano continuamente. C’è chi è partito alla ricerca di un futuro migliore e chi è costretto a rimanere. Il fatto di dover fuggire e il fatto di dover restare, sono sostanzialmente cause di una condizione.
“L’essere rimasto, non è atto di debolezza né atto di coraggio, è un dato di fatto, una condizione, ma anche l’esperienza dolorosa e autentica dell’essere sempre fuori posto”.
Sostanzialmente in entrambi i casi si parla di sacrificio, sia per chi parte, sia per chi resta.
La NOSTALGIA è l’elemento trainante. È stata considerata la malattia e la follia degli emigrati e quindi del loro mondo d’origine. La parola racchiude in sé due elementi: il primo è il suffisso algìa, che indica un dolore, una sofferenza, la parte che precede il suffisso descrive la causa di quel dolore. Corrado Alvaro descrive la nostalgia come “del ritorno di uno che non se n’è mai andato”. Quando un soggetto ritorna per riallacciare il rapporto con le sue radici e scopre un luogo che vessa nel degrado totale che cosa accade? Le persone a lui care sono completamente diverse, perché?
Eccomi giunto a un altro elemento fondamentale (arena di questa vicenda familiare): Il Sud maledetto e il caso ENI. Com’era prima questa regione e com’è poi diventata? Com’erano i rapporti tra persone che la abitavano? Si stava meglio oppure peggio?
I protagonisti sono due marionette, due vittime del “sistema” collocati in una dimensione insolita. In sostanza sono due esseri, “pupazzi” che parlano, si agitano, agiscono in modo insolito, inverosimile, ma più vero del vero; in un mondo quasi caricaturale come per sottolineare la brutale e grottesca verità. Il ligth motiv che lega i personaggi è la terra. Spesso, quando la tensione si fa alta, il personaggio del Ritornante stempera gli animi, rifugiandosi nel ricordo dell’infanzia. “La peculiarità del teatro di costruire un mondo parallelo aiuta i bambini a costruirsene uno proprio meglio vivibile di quello reale e spesso si va avanti per tutta la vita ad accarezzare questa prospettiva altra, meno gravosa della realtà”.
“Più che della mia terra, credo di aver beneficiato del mio habitat e cioè dei muri, dei soffitti, i suppellettili di casa mia. Ho certamente tratto vantaggio dalle vigne, dalle siepi, dai vicoli e dai ruscelli; li ho tenuti nel mio ventre”. Dino Lopardo
Per offrirti il miglior servizio possibile questo sito utilizza cookie di terze parti. Accetta per effettuare una corretta navigazione Leggi tuttoCookie SettingsAccetta
Rivedi il consenso
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. These cookies ensure basic functionalities and security features of the website, anonymously.
Cookie
Durata
Descrizione
cookielawinfo-checkbox-analytics
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Analytics".
cookielawinfo-checkbox-functional
11 months
The cookie is set by GDPR cookie consent to record the user consent for the cookies in the category "Functional".
cookielawinfo-checkbox-necessary
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookies is used to store the user consent for the cookies in the category "Necessary".
cookielawinfo-checkbox-others
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Other.
cookielawinfo-checkbox-performance
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Performance".
viewed_cookie_policy
11 months
The cookie is set by the GDPR Cookie Consent plugin and is used to store whether or not user has consented to the use of cookies. It does not store any personal data.
Functional cookies help to perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collect feedbacks, and other third-party features.
Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.
Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.
Advertisement cookies are used to provide visitors with relevant ads and marketing campaigns. These cookies track visitors across websites and collect information to provide customized ads.